Occhiali neri

Un ritorno sullo schermo più che dignitoso con momenti in cui Argento ritrova la forma che temevamo perduta per sempre.

di EMILIANO BAGLIO 01/03/2022 ARTE E SPETTACOLO
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 Occhiali neri

Un ritorno sullo schermo più che dignitoso con momenti in cui Argento ritrova la forma che temevamo perduta per sempre.

 

 

È lo stesso Dario Argento, intervistato da Filmtv a fornirci una possibile chiave di lettura del suo ultimo film quando dichiara; “...Occhiali neri, nel descrivere il rapporto con Andrea Zhang, il piccolo protagonista, si apre a possibilità forse inedite nel mio cinema fino a ora: la tenerezza e il sentimento...”.

Uno dei pochi ad essersene accorti pare essere Giacomo Calzoni che su Sentieri Selvaggi scrive; “...Dario Argento è uno dei registi più scopertamente romantici del nostro cinema...”.

Viene allora in mente quanto scriveva anni fa Banana Yoshimoto a proposito de La sindrome di Stendhal; “...Il momento del soccorso finale è talmente teatrale e pieno di compassione da farmi pensare che il regista abbia girato il film soltanto per descrivere questo amore...”.

Sono queste, a nostro avviso, le linee interpretative con le quali decifrare Occhiali neri.

In caso contrario ci troveremmo a sgranare l’eterno rosario che da anni accompagna ogni film di Argento.

La sceneggiatura ai limiti dell’inesistente, qui più che altrove con dialoghi involontariamente comici; la direzione, disastrosa, degli attori e via dicendo.

Osservazioni che, in realtà, potrebbero applicarsi indifferentemente a tutta la filmografia di Argento, difetti insomma che ci sono sempre stati e che il tempo semmai ha sempre più ingigantito.

Il risultato è l’eterno oscillare di molte critiche tra un astio tale da far sospettare del risentimento quasi personale e le lodi sperticate anche a titoli oggettivamente indifendibili.

Che è poi il destino del cinema di genere italiano, bistrattato da tanti quando era grande e poi rivalutato in blocco ed acriticamente senza fare distinzioni o analisi di sorta.

Occhiali neri, per tornare all’oggetto in questione, appare totalmente disinteressato allo sviluppo del lato giallo/thriller.

Non si tratta solo della solita polizia inefficace ma soprattutto di un serial killer che sembra uscito da uno slasher, totalmente privo di motivazioni e di personalità senza contare il fatto che ci viene mostrato a metà film e che anche lo spettatore più distratto è in grado di capire che si tratta di lui, grazie soprattutto ad un dialogo chiave che, ovviamente, non sveleremo.

A stupire semmai è la quantità minima degli omicidi presenti nel film.

Oppure tutta la parte ambientata nel bosco, incredibilmente materica per un regista che da sempre ci aveva abituato ad atmosfere oniriche.

Il fatto è che Argento fa quel che può con quello che ha; a cominciare da un budget che spesso mostra apertamente i suoi evidenti limiti.

Ma, come detto, il cuore di questo film è altrove; ovvero nel rapporto tra Diana (Ilenia Pastorelli) ed il piccolo Chin (Xinyu Zhang).

Ad Argento sembra importare solo la storia dell’incontro tra le solitudini assolute di questi due personaggi provati dalla vita e dalle avversità.

Chin che è sopravvissuto al fatale incidente nel quale Diana perde la vita ed appunto il personaggio interpretato dalla Pastorelli.

Ennesimo ritratto di eroina in un cinema da sempre attento alle figure femminili; Diana si ritrova sostanzialmente sola, con l’unico aiuto dell’istruttrice Rita (Asia Argento) e della cagna Nerea.

Proprio a lei Diana riserverà l’ultima battuta “Sei l’unica amica che mi è rimasta”

Viene quasi il sospetto che Argento abbia realizzato Occhiali neri, dopo 20 anni di gestazione, solo per quest’ultima frase e quel finale così amaro che lascia immaginare un futuro triste e solitario.

Insomma Occhiali neri, ovviamente, non è un capolavoro; è un ritorno più che dignitoso con una prima parte in cui, secondo la nostra modesta opinione, Argento recupera il tocco del Maestro che pensavamo oramai perso per sempre.

Scusate se è poco.

EMILIANO BAGLIO


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